SCREENING PER LA SALUTE – PACCHETTI CHECK UP
Scopri i PACCHETTI CHECK UP pensati appositamente per te!
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Nel mondo occidentale si sta osservando un forte aumento delle problematiche sanitarie legate all’eccessivo consumo di alcol. Statistiche correnti indicano che il 20-30% dei costi relativi alla cure sanitarie ed all’ospedalizzazione sono da attribuire all’abuso alcolico; anche il consumo pro capite è aumentato, tanto che potrebbe ipotizzarsi una diminuzione dell’aspettativa di vita nei paesi con più elevato consumo di alcol.
L’ultimo report della Commissione Europea riporta che l’Europa è la regione del mondo a più alto consumo di alcol; pur con diverse peculiarità tipiche di ogni singolo Paese, molte abitudini, come frequenza e modalità, oggi si stanno uniformando; inoltre, il numero di adolescenti che bevono è aumentato e contemporaneamente è diminuita l’età in cui si inizia ad assumere alcol (circa 12,5 anni e 14 anni per la prima intossicazione da alcol).
Sono numerosi i test di laboratorio proposti per il riconoscimento dell’abuso alcolico sia acuto che cronico, alcuni di questi sono in uso da tempo da essere ormai considerati tradizionali (γGT, AST, ALT ed MCV), mentre altri sono stati introdotti più recentemente. Poiché la positività a questi test è legata al tempo intercorso tra assunzione e prelievo, si possono distinguere marcatori di consumo acuto e di consumo cronico di alcol.
BIOMARCATORI DI CONSUMO ACUTO
ETANOLO
Il dosaggio determina la presenza di Etanolo nei fluidi corporei, ma tale test è limitato dal fatto che si riesce ad identificare solo un uso di alcol molto recente. Infatti l’Etanolo ingerito viene rapidamente assorbito a livello dello stomaco e del piccolo intestino, passa nel torrente circolatorio e da qui a tutti i fluidi biologici ed ai tessuti in proporzione al contenuto di acqua. Viene eliminato rapidamente, ad una velocità di circa 0,1 g/kg per ora, (0,15-0,20 g/l per ora nel sangue) ad opera del fegato quindi, dopo 6-8 ore dall’assunzione, non è più rilevabile nel sangue. In confronto al sangue ed all’aria espirata, l’Etanolo nelle urine può essere ritrovato anche alcune ore più tardi, ciò dovuto alla raccolta delle urine nella vescica.
Concentrazioni ematiche di Etanolo uguali o superiori a 50 mg/dL suggeriscono un bere eccessivo, concentrazioni superiori a 100 mg/dL depongono a favore di un alcolismo mentre valori ematici pari o superiori a 150 mg/dL sono, con elevata probabilità, indice di bere a rischio e, non escluso, di dipendenza.
ETILGLUCURONATO (ETG)
L’Etilglucuronato è un marcatore di consumo alcolico acuto poiché l’eliminazione costante è molto più lenta di quella dell’Etanolo con il risultato di avere una sensibilità più elevata. Inoltre, poiché è un diretto metabolita dell’alcol etilico, l’EtG risulta specifico per l’assunzione di alcol. La determinazione dell’EtG nel sangue e nelle urine fornisce un mezzo per determinare il consumo recente di alcol, anche a distanza di molte ore dalla sua eliminazione. L’EtG è rilevabile nel siero fino a 6 ore dopo la scomparsa dell’Etanolo e nell’urina da un minimo di 6 ore fino ad un massimo di 100 ore dopo l’assunzione, a seconda della dose ingerita. Su questa base, l’Etilglicuronide è stato proposto come indicatore di uso/abuso recente di alcol, se determinato nel siero, e come marker a breve/medio termine, se determinato nelle urine.
BIOMARCATORI DI CONSUMO CRONICO
MARCATORI TRADIZIONALI
I marcatori biochimici tradizionali usati per identificare l’esposizione cronica all’alcol sono Gamma-glutamiltransferasi (γGT), Aspartato e Alanino aminotransferasi (AST e ALT) nel siero e volume corpuscolare medio degli eritrociti (MCV). Una limitazione di questi dosaggi consiste nel fatto che essi identificano principalmente quei soggetti che hanno già bevuto eccessivamente per un considerevole periodo di tempo; pertanto, hanno una bassa sensibilità per il consumo recente di alcol. Altro limite è che essi mostrano bassa specificità; possono infatti aumentare anche in altre circostanze, quali assunzioni di farmaci comuni come barbiturici e antiepiletttici, fumo, obesità e gravidanza oltre che nella maggior parte delle patologie epatiche anche di origini non alcoliche; sono quindi principalmente utili nel follow-up del paziente con patologia epatica alcol dipendente già diagnosticata.
CDT (Transferrina Carboidrato Carente)
Il termine CDT indica un gruppo di glicoforme minori della Transferrina (asialo-, monosialo- e disialo-Tf), la cui concentrazione sierica, normalmente inferiore al 2% della transferrina totale, aumenta a seguito di abuso alcolico cronico o protratto. Tale incremento si verifica a seguito dell’assunzione di almeno 60-80 g di alcol al giorno per un minimo di 2 settimane. La completa astinenza dall’alcol porta ad una normalizzazione dei valori in circa 2-3 settimane. La CDT in Italia ed in Europa è il marker più utilizzato per la diagnosi di abuso alcolico cronico in ambito forense ed è tra i markers più utilizzati anche in ambito clinico perché ha un’elevata specificità diagnostica, prossima al 100%.
La CDT è inoltre un marcatore indipendente a medio termine, non soggetto a variazioni causate da altre interazioni dovute a farmaci, diabete, obesità, epatopatie e disordini ematologici. Il suo dosaggio, affiancato a quello dei marcatori tradizionali, aiuta il clinico a differenziare tra disordini epatici dovuti o meno ad assunzione di alcol.
Al fine di prevenire la diffusione e la persistenza di malattie e contaminazioni dovute al batterio Salmonella che possono incidere sulla sicurezza delle carni prodotte dai polli destinati al consumo umano, la Commissione Europea ha individuato i sierotipi del microrganismo più comuni negli animali e nell’uomo e quindi ha stabilito gli obiettivi di riduzione da raggiungere tramite piani di controllo.
Se nei polli è presente la Salmonella, aumenta il rischio che le carni prodotte da questi polli siano contaminate da questi batteri.
La Salmonella può essere trasmessa sia verticalmente dai riproduttori alla progenie che orizzontalmente da contaminazione ambientali. La trasmissione verticale è stata osservata per due dei sierotipi più significativi, la Salmonella enteritidis e la Salmonella typhimurium. Questi sierotipi sono responsabili di forme cliniche a prevalente manifestazione gastroenterica.
È stata emanata dalla Unione europea una modifica del Reg. CE 2073/05 (già modificato con Reg. CE 1441/07) mediante il Reg. UE 1086/11. Quest’ultimo all’art. 1 riporta che a decorrere dal 1 dicembre 2011 le carni fresche di pollame immesse sul mercato durante il loro periodo di conservabilità devono soddisfare il seguente criterio microbiologico:
Salmonella typhimurium e Salmonella enteritidis assenti in 25 g in 5 unità campionarie.
C’è troppo arsenico nell’acqua potabile di 127 Comuni italiani, soprattutto del Lazio.
L’allarme della Commissione europea
L’allarme è stato lanciato nell’ottobre scorso dalla Commissione europea, che ne ha vietato di fatto l’uso alimentare. 10 microgrammi per litro è la quota di arsenico permessa dalla legge, ma nel nostro Paese si consentiva ad alcuni acquedotti di tollerare la presenza di questa sostanza velenosa in misura fino a 5 volte superiore a quella stabilita dalla normativa. A colpi di deroghe ovviamente che, dopo lo stop della Commissione, sono diventate inaccettabili. Infatti, dal nostro Paese era arrivata una richiesta di deroga fino a 50 microgrammi per litro. Una richiesta che Bruxelles ha giudicato rischiosa per la salute dei cittadini, ragion per cui ha fissato il limite massimo a 20 microgrammi per litro. Se la concentrazione di questa sostanza velenosa è maggiore, si va incontro a “rischi sanitari superiori, in particolare alcune forme di cancro”: è quanto afferma la Commissione europea in un documento del 28 ottobre, citando pareri dell’Organizzazione mondiale della sanità e dello SCHER (Scientific Committee on Health and Environmental Risks), comitato scientifico della Commissione stessa. Se l’Italia non rispetterà il divieto, rischia un procedimento davanti alla Corte di Giustizia europea.
Dove è vietato l’uso alimentare
Le regioni più colpite sono Lazio e Toscana: in questo documento trovate l’elenco delle zone in cui le concentrazioni di arsenico sono tali da non permettere un uso alimentare dell’acqua. È vietato sia berla, sia utilizzarla per cucinare. La soluzione non è certo l’acquisto di caraffe filtranti, solo gli impianti con filtri a osmosi inversa sono efficaci nell’eliminazione di arsenico e boro. Ma il costo della depurazione non può e non deve pesare sui singoli cittadini. Gli acquedotti hanno l’obbligo di porre rimedio alle concentrazioni fuorilegge al più presto. Ci sono tanti modi per farlo: scegliere nuove fonti di approvvigionamento dell’acqua, diluire le fonti problematiche o trattando con processi di filtrazione l’acqua di rete.
Bios SpA – sede di Via D’Onofrio
Il nostro laboratorio ,nell’ambito delle analisi delle acque , esegue la determinazione quantitativa dell’arsenico e di altri metalli nelle acque mediante assorbimento atomico con sorgente di idruri e secondo metodiche ufficiali.
Attraverso il team di nostro personale tecnico siamo in grado di eseguire, su richiesta del cliente, campionamenti a Roma ed in tutte le province del Lazio.
Fonte: Altroconsumo
A Dicembre 2009 sono state pubblicate le “Linee Guida sugli Standard di sicurezza e di igiene del lavoro nel reparto operatorio” redatte dall’ISPESL, Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro.
Il documento è l’aggiornamento delle precedenti linee guida. In particolare è stata data una nuova definizione dei requisiti strutturali, tecnologici e strumentali del Reparto Operatorio, nonché dei requisiti igienico-ambientali e una nuova allocazione della sezione dedicata alle verifiche delle caratteristiche ambientali ed impiantistiche per il controllo dell’efficacia delle misure di prevenzione attuate.
Tale documento rappresenta uno strumento di facile consultazione sul tema degli standard di sicurezza e di igiene del lavoro che evidenzia come perseguire livelli ottimali di sicurezza e di salvaguardia della salute degli operatori e di riflesso anche degli utenti e come attuare tutti gli adempimenti previsti dalla vigente legislazione.
L’obiettivo di tale documento è inoltre quello di assicurare, nelle diverse condizioni di espletamento dell’attività chirurgica che comporti situazioni di rischio, un adeguato livello di gestione organizzativa che si possa avvalere di supporti tecnologici-strutturali congrui ai bisogni di assistenza dell’operando in un contesto che non esponga gli operatori ai rischi professionali.
Le Linee Guida si articolano in tre sezioni:
Bios-lcr, da sempre al passo con le nuove normative, esegue tutti i controlli di verifica richiesti dalle Linee Guida avvalendosi di personale tecnico altamente qualificato ed addestrato ad eseguire i monitoraggi qui di seguito riportati:
Nuova Delibera Giunta Regionale
In seguito all’emanazione della recente Delibera della Giunta Regionale n. 825 del 03 Novembre 2009 l’operatore del settore alimentare (O.S.A.) deve assicurare un’idonea formazione al personale addetto alle lavorazioni alimentari ai sensi del Reg. CE n°852/04 (All.ti I e II).
La formazione, in base alle mansioni svolte dai singoli addetti, deve trattare i seguenti argomenti:
La durata dei corsi per gli addetti alla manipolazione degli alimenti non deve essere inferiore alle 6 ore, mentre per i responsabili delle procedure HACCP (responsabile dell’autocontrollo) la durata deve essere di 20 ore complessive.
Se i responsabili delle procedure HACCP hanno partecipato con esito positivo ai corsi P.I.A. (percorso integrato assistito) istituiti dalla Regione Lazio, nel cui programma didattico sono state previste 20 ore inerenti gli argomenti suddetti, si considera la formazione espletata.
L’ottemperanza a quanto sopra riportato verrà verificata dai Servizi competenti delle aziende U.U.S.S.L.L., nell’ambito delle attività programmate del controllo ufficiale, valutando anche a mezzo di interviste agli operatori ed al personale l’efficacia del percorso formativo seguito.
L’omocisteina è un aminoacido che attualmente è sotto i riflettori della ricerca medica perché ad un suo eccesso nel nostro organismo sembrano correlabili molte patologie. L’iperomocisteinemia rappresenta di per sè un fattore di rischio solo per quegli individui in cui l’innalzamento è dovuto a cause genetiche, ma per molti soggetti il suo aumento nel sangue dipende da altri fattori di rischio come il fumo o la cattiva alimentazione.
L’iperomocisteinemia è considerato un importante fattore di rischio per gli incidenti cardiovascolari (aterosclerosi, infarto del miocardio), cerebrovascolari (ictus) e periferico-vascolari (trombosi arteriose e venose).
Si stima che i soggetti affetti da iperomocisteinemia abbiano il doppio di probabilità di incorrere in incidenti vascolari rispetto a coloro che hanno valori entro i range di normalità. Alcuni studi riportano che l’iperomocisteinemia rappresenta un notevole fattore di rischio nello sviluppo della malattia di Alzheimer; inoltre si è osservato un elevato livello ematico di omocisteina nelle donne colpite da preeclampsia, distacco placentare e aborto spontaneo. Infine, l’iperomocisteinemia viene considerata un forte fattore di rischio per fratture dovute a osteoporosi. Si ritiene che la concentrazione ematica di omocisteina dipenda da fattori predisponenti di carattere genetico. I fattori che aumentano l’omocisteina sono il sesso, l’aumento delle masse muscolari, il fumo ed il deficit di vitamine del gruppo B ,mentre i fattori che diminuiscono l’omocisteina sono l’attività fisica aerobica.
Omocisteina e danni vascolari
Attualmente non esistono dati certi che spieghino i meccanismi attraverso i quali l’omocisteina provoca un danno a livello vascolare. Si suppone che, a lungo termine, elevati valori plasmatici di omocisteina aggravino lo stress ossidativo. Un’altra ipotesi prende in considerazione il fatto che l’omocisteina favorisce il proliferare delle cellule muscolari lisce con conseguente aumento dell’adesione a livello dell’endotelio e aumento di deposito di colesterolo LDL.
Omocisteina e supplementazione vitaminica
L’iperomocisteinemia può essere trattata con un’adeguata supplementazione vitaminica. Dal momento che sono diverse le vitamine del gruppo B coinvolte nei processi metabolici relativi all’omocisteina, un corretto apporto vitaminico quotidiano di dette vitamine è in grado di diminuire i livelli plasmatici di omocisteina.
Per informazioni relative alla modalità di prelievo e costi dell’analisi, non esitate a contattarci.
La vitamina B12 e l’acido folico sono importantissime strutture vitaminiche basiche senza le quali l’uomo può incorrere in gravi carenze nutrizionali e squilibri psico-fisici.
La vitamina B12 o cobalamina è nota anche come “la vitamina dell’energia” per il suo potere energizzante ed è essenziale per la longevità e importantissima per la sintesi dell’emoglobina. È necessaria al metabolismo del tessuto nervoso, delle proteine, dei grassi e dei carboidrati, inoltre regola l’assunzione del ferro da parte dell’organismo e fissa la vitamina A nei tessuti. La principale fonte di vitamina B12 è data dalle proteine animali.
Una carenza di vitamina B12 comporta seri disturbi neurologici e comportamentali e può portare a forme di anemia. Gravi carenze di vitamina B12 per insufficiente apporto alimentare sono abbastanza rare, tuttavia possono interessare i vegani e gli anziani. I sintomi di una carenza di vitamina B12 consistono in: debolezza, pallore, ittero, stanchezza, lingua infiammata, formicolii alle estremità, ridotta percezione del dolore, irritabilità, mal di testa, depressione, disturbi del sonno, difficoltà nel ricordare.
L’acido folico o vitamina B9 è essenziale per la sintesi del DNA e delle proteine e per la formazione dell’emoglobina ed è importante per la corretta crescita dell’embrione. La presenza di acido folico è indispensabile per equilibrare i livelli di omocisteina, amminoacido associato a malattie cardiovascolari ed infarti. L’acido folico si trova in abbondanza in alcuni alimenti come le verdure a foglia verde, i legumi, i cereali integrali e la frutta.
Nelle persone adulte una scarsità di acido folico può originare l’anemia megaloblastica. I primi sintomi della sua carenza sono sensazione di affaticamento, depressione, diminuzione delle difese immunitarie.
Importanza di combinare vitamina B12 e acido folico
L’acido folico e la vitamina B12 sono indispensabili per il corretto funzionamento del nostro corpo. L’acido folico è idrosolubile e agisce come coenzima, insieme alla vitamina B12, nella scomposizione e utilizzazione delle proteine. Le due vitamine sono strettamente correlate: la carenza di vitamina B12 può causare una carenza di acido folico, e la carenza di una delle due vitamine può causare anemia. La vitamina B12 infatti agisce in combinazione con l’acido folico per consentire una perfetta emopoiesi.
Alle persone carenti di vitamina B12 di solito mancano secrezioni gastriche necessarie per il suo assorbimento, è comunque dimostrato che la popolazione ne è generalmente carente. I sintomi della carenza di vitamina B12 possono impiegare dai 5 ai 6 anni per manifestarsi, dal momento in cui il rifornimento dell’organismo da fonti naturali è stato diminuito. Le carenze di entrambe le vitamine ostacolano lo sviluppo delle cellule ematiche a crescita rapida nel midollo osseo, una disfunzione che causa anemia dei grandi globuli rossi.
Il 10% degli anziani ha una carenza di vitamina B12 che si manifesta con disturbi neuropsichiatrici.
I sintomi di una carenza iniziano con cambiamenti nel sistema nervoso, come ad esempio debolezza e dolore alle gambe e alle braccia, diminuzione dei riflessi e della percezione sensoriale, difficoltà nel camminare e nel parlare (balbuzie), spasmi muscolari, perdita della memoria, debolezza e stanchezza, disorientamento, perdita del tatto o minore percezione del dolore che si manifesta con diversi sintomi e intensità.
Per contrastare lo stress che danneggia memoria e funzioni cognitive e per proteggere il cervello dalle patologie strettamente legate all’invecchiamento, è consigliato quindi controllare, dopo i 55 anni, i livelli ematici di vitamina B12 e di acido folico perché in caso di carenza è possibile l’integrazione per os.
Per informazioni relative alle modalità di prelievo ed ai costi delle suddette analisi, non esitate a contattarci.
Acqua potabile … all’arsenico.
L’Unione europea ha bloccato l’ennesimo tentativo dell’Italia di rimandare l’applicazione dei limiti di Arsenico contenuti nell’acqua di rubinetto fissati dalla UE per poterla definire potabile. La motivazione è stata che gli alti limiti di questa sostanza possono favorire l’insorgenza di gravi malattie come il tumore.
Bruxelles vuole che l’Italia proceda con le ordinanze per rendere non potabile l’acqua in 128 comuni della penisola, in quanto i limiti superano i 10 microgrammi per litro fissati dalla UE (in alcuni casi si arriva anche a 50 microgrammi).
In un documento di 66 pagine indirizzato all’Italia, la Commissione Europea ricorda che, in merito alla richiesta di ulteriore proroga da parte dell’Italia del 10 Febbraio scorso, la risposta è NO e allega l’elenco dei comuni che devono fermare la fornitura o correre ai ripari a causa delle alte concentrazioni di Arsenico nei propri rubinetti.
In particolare, la commissione dice che “per quanto riguarda l’Arsenico, le prove scientifiche nei documenti indicati in riferimento negli orientamenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e nel parere del Comitato Scientifico dei Rischi sanitari e ambientali consentono deroghe temporanee fino a 20 μg/l, mentre valori di 30, 40 e 50 μg/l determinerebbero rischi sanitari superiori, in particolare talune forme di cancro. Pertanto, occorre autorizzare unicamente deroghe per valori di Arsenico fino a 20 μg/l.”
I comuni italiani in tutto sono 8000, quindi la percentuale di comuni in cui l’acqua sarebbe pericolosa è relativamente basso, 128, ma il problema è che, invece di adottare una politica di prevenzione o di azione programmata – e il tempo c’è stato – adesso ci troviamo di fronte all’ennesima emergenza. Inoltre, si contribuisce a diffondere tra la cittadinanza la sensazione che l’acqua dei rubinetti non è buona e si incentivano forme di spreco e di abuso di acqua minerale, che numerosi esperti hanno indicato come meno controllata e sicura dell’acqua di rubinetto.
La decisione della Commissione Europea risale al 28 ottobre 2010 e adesso l’Italia potrebbe finire davanti alla Corte di Giustizia Europea se non agisce. Il prossimo passo da parte dell’Europa, infatti, è un procedimento d’infrazione.
Il provvedimento della Commissione europea riguarda 91 Comuni del Lazio tra le province di Roma, Viterbo e Latina, 8 Comuni in Lombardia, 10 in Trentino-Alto Adige e 19 in Toscana. L’acqua che esce dai rubinetti di questi 128 Comuni contiene arsenico oltre la soglia di 10 microgrammi per litro. E a Velletri, comune alle porte di Roma, la concentrazione di arsenico registrata nelle acque dalla Asl locale avrebbe addirittura superato i 50 microgrammi/litro, ma ai cittadini non e’ stato ancora dato l’allarme.
Fonte: “Gaianews.it”
Bios SpA – sede di Via D’Onofrio esegue analisi chimiche e microbiologiche di potabilità dell’acqua secondo la normativa cogente ed utilizzando metodi di prova ufficiali. E’ inoltre in grado di determinare la quantità di Arsenico ed altri metalli presenti nell’acqua.
Attraverso un team di tecnici specializzati e su richiesta del cliente si eseguono campionamenti a Roma ed in tutte le altre province del Lazio.
L’elenco, contenuto nel documento della Commissione europea, si può scaricare qui.